Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nelle elezioni amministrative del marzo scorso in Turchia, il partito DTP (Partito della società democratica) è il primo patito nel Kurdistan della Turchia. Questa vittoria ha dato una grossa speranza ai 17 milioni di Curdi, che da quasi un secolo sono stati privati del diritto di avere una vita culturale propria e di usare la propria lingua.
Le elezioni di marzo sono coincise con le celebrazioni del Newroz, il capodanno curdo, e non solo: la festa di Newroz - che significa il nuovo giorno - è anche la festa di liberazione del popolo curdo da un tiranno come Zuhak.
Per la prima volta nel Kurdistan della Turchia sono scese in piazza massicciamente quasi due milioni di persone nella città di Diyarbikir (Amad) per dire e ribadire soprattutto la loro voglia di pace e dialogo con il popolo turco.
Il partito curdo Dtp non solo si conferma il primo partito, ma ottiene anche nuove province. Quattro sono state conquistate e strappate all'Akp, il partito di Erdogan. Ora il Dtp controlla oltre Diyarbakir (Amad), la capitale del Kurdistan della Turchia, Dersim, Batman, Siirt, Sirnak, Hakkari, Van e Igdir.
A Diyarbakir, Osman Baydemir, il sindaco uscente, è stato rieletto con il 66,5% dei consensi. Una vittoria schiacciante sul candidato dell'Akp che continuava a proclamare la vittoria ed era convinto di riprendere una delle città più grandi non solo in Kurdistan, ma anche in Turchia, ma si è fermato al 30,6%.
Due domande mi nascono spontanee:
1) Cosa faranno i generali guerrafondai della Turchia che hanno sempre represso qualsiasi tentativo di dialogo per risolvere la questione curda?
2) Troveranno un'accusa per mettere fuori legge il partito curdo DTP, come hanno fatto altre volte?
Il 9 aprile di sette anni fa, una coalizione guidata dal Governo degli Stati Uniti d'America e del Regno Unito, con le loro colonne dell’esercito, entravano nella capitale Irachena Baghdad da diverse direttrici fino ad arrivare nella piazza Tharir, in pieno centro. Nella piazza c'era una grande statua del dittatore, statua che divenne poi simbolo della fine del tiranno che governava il paese mediorientale da 35 anni durante i quali i popoli dell'Iraq sono stati privati di tutto: della libertà di poter usufruire delle risorse nazionali per il proprio sviluppo, come il petrolio, ma anche dell'aria per respirare.
Saddam Hussein aveva trasformato l'Iraq in una enorme caserma. Le due guerre, prima quella con l'Iran e poi quella del Golfo, e dodici anni di embargo avevano prodotto un esodo massiccio di Iracheni all'estero e un milione di morti.
Ebbene, a fronte di tale situazione disastrosa, oggi, nel bene e nel male, i popoli dell'Iraq sono contenti del cambiamento, della rinata possibilità di libertà. Nonostante le autobombe ed i kamikaze, in questi cinque anni sono nati settanta nuovi partiti, la libertà di stampa ha prodotto un fiorire di giornali e di Tv locali e satellitari.
Tutto questo con Saddam non c'era e non era possibile. Anche dal punto di vista economico qualche cosa è cambiato: prima non si poteva pianificare nulla, adesso si possono fare progetti, pur piccoli per il futuro. E' stato avviato un processo politico, pur lento, verso la democrazia del Paese, è stata scritta, con la partecipazione di tutti i rappresentanti, la nuova Costituzione che si può definire unica sia nel mondo Arabo che nel mondo Islamico.
La nuova costituzione garantisce il diritto di tutte le etnie e tutte le confessioni religiose.
Con tutto ciò non possiamo dire che l'Iraq è pacificato, tutt'altro. Nei trascorsi cinque anni terroristi di Al-Qaeda come Abu Musab al-Zarqawi, prima di essere ucciso, avevano deciso di trasformare l’Iraq in una terra bruciata ed gli jihadisti provenienti sia del mondo Arabo che nel mondo Islamico, in primis dei paesi limitrofi come l’Iran, la Siria e la Turchia, continuano ancora oggi con le loro azioni destabilizzanti, ma, per fortuna, senza successo.
La questione curda, per quanto ben caratterizzata e definita, non risulta del tutto comprensibile se astratta dal contesto nel quale si è sviluppata: quello della storia del Medioriente. Un legame che si è rinsaldato nello scorrere degli avvenimenti del secolo scorso: l'evoluzione dal sistema coloniale all'imperialismo moderno, la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, le guerre mondiali, i conflitti locali e la «guerra fredda». Queste sono solo alcune delle problematiche che fanno sì che la questione curda si possa considerare assai vicina alle vicende della storia europea.
Negli ultimi 20 anni i partiti curdi hanno indirizzato i loro sforzi di lotta, sia armata sia politica, non più, soltanto, contro le potenze, contro i singoli regimi repressivi dell'Iran, della Turchia, della Siria e prima dell’Iraq. La lotta per l’indipendenza ha assunto i connotati propri delle lotte di liberazione in corso anche in altri paesi nel mondo, da parte delle minoranze oppresse. Ma questa affermazione è solo in apparenza semplice: in realtà spesso, per i curdi, è addirittura difficile individuare il proprio vero nemico, e questo dipende da numerosi fattori: ad esempio, il più delle volte, paesi lontani dal Curdistan, ma presenti sulla scena internazionale, formalmente approvano e sostenevano l'indipendenza dei curdi, ma in sostanza appoggiavano la politica repressiva dei singoli governi, spesso con aiuti economici ai vari regimi, nascondendo così le consuete dinamiche dell'imperialismo dietro un intervento indiretto ma ugualmente efficace.
II Curdistan esiste da almeno quattromila anni, abitato da una popolazione di stirpe indoeuropea, di religione originariamente zoroastriana convertitasi all'islam dopo la conquista araba; il popolo curdo ha vissuto fino al secolo scorso perfettamente integrato con le altre culture del Medio oriente. Alla fine della Prima guerra mondiale questo territorio è stato arbitrariamente suddiviso dalle potenze europee vincitrici che perseguivano i propri interessi coloniali nella regione: da allora la situazione è rimasta invariata e il popolo curdo combatte per riavere il diritto a vivere libero e in pace sulla propria terra.
Cerchiamo di chiarire ai lettori italiani, cosa vogliono i curdi. Il popolo curdo chiede che la minoranza curda venga riconosciuta dai governi negli stati nei quali risiede, chiede di potere fare uso della propria lingua, della propria tradizione, dalla propria scuola, ma soprattutto vuole la democratizzazione dei paesi che controllano il Kurdstar. Proprio questo è stato il punto che ha sempre determinato la brutale repressione da parte dei singoli governi che occupano il kurdistan nei confronti del popolo curdo.
La prima guerra del Golfo, nel 1991, aveva portato alla ribalta delle cronache le persecuzioni di cui sono stati, e sono tuttora oggetto, i curdi. È emerso palesemente l'aspetto tragico e terribile della loro esperienza, ma quello che ancora una volta era ed è sfuggito, e che continua a rimanere tuttora ai margini dell'informazione, è l'analisi attenta della loro storia e della loro cultura.
Sono una delle più importanti ed antiche civiltà dell'Oriente, eppure questa verità elementare e fondamentale resta spesso nell'ombra. Una "dimenticanza" dovuta, con tutta probabilità, almeno nel campo dei media, ad una "colta" ignoranza. Certo che il popolo curdo non può vantare gli uomini più ricchi del pianeta. Genericamente è indicata come una minoranza oppressa. Un luogo comune, come tanti altri, per spiegare lo smembramento del popolo curdo. È in questi luoghi comuni che si affossano ogni giorno le speranze di migliaia di uomini.
Spesso il sogno di vivere in un kurdistan libero e indipendente è finito sulle coste pugliesi e calabresi in Italia o in altri paesi europei, per i curdi in fuga dalla persecuzione provocata dei governi dell’Iran, della Turchia, della Siria e dell’Iraq prima dalla caduta del regime dittatoriale di Saddam.
La formazione di una diaspora curda in Europa è un fenomeno recente. Nel 1960, i curdi provenienti dalla Turchia hanno iniziato ad arrivare in Germania, Austria, Svizzera e Francia, come lavoratori immigrati nel quadro di contratti governativi e accordi in materia di lavoro degli immigrati. Ma dopo la rivoluzione islamica, in Iran, del 1979, il colpo di Stato in Turchia del 1980, il massacro perpetrato dal regime iracheno con l’operazione Anfal e la campagna, lanciata nel 1992, di evacuazione forzata e distruzione di villaggi curdi accoppiata con una politica di assassinio politico di élite da "squadroni della morte" e forze paramilitari, è aumentato l’esodo dei curdi verso l'Europa. Il gruppo più consistente (circa 650 mila) si trova in Germania, ma altre numerose comunità si trovano nei paesi dell’Unione Europea. In Italia si trovano circa due milla curdi, sparsi nel centro e nel nord Italia, per lo più con regolare permesso di lavoro.
Una domanda nasce spontana: fino a quando questo popolo deve subire questa ingiustizia?
Ora, il compito è quello di cercare gli strumenti idonei ad affrontare una situazione ormai insostenibile, dal punto di vista morale, per i paesi civili che vogliono farsi sostenitori dei diritti umani e dei popoli
Non so se siamo ancora capaci di indignarci, talmente siamo assuefatti alla falsità della stampa e della televisione in mano a giornalisti prezzolati (Grillo è incomparabile nel suo blog quando parla di “tentazione di lasciarsi andare un po’ da questa deriva da fogna, leggere che so, il Giornale , Libero o il Foglio, lasciarmi galleggiare in questa m.... informatica, così che potrei anche rilassarmi”), ma la nausea ed un senso di vomito mi viene ancora quando leggo qualche inchiesta di Gianantonio Stella: l’ultima, frutto del lavoro di Flavien Deltort e pubblicata nel Corriere della Sera del 22 aprile, che parla dei nostri Deputati europei, i più pagati ed i più assenteisti.
Neanche il radicale Marco Cappato, pur essendo parlamentare europeo era riuscito ad avere dati sulle presenze dei suoi colleghi parlamentari perché , gli era stato risposto “non esiste nessun alcun documento che riporti il numero totale delle presenze per deputato alle diverse riunioni ufficiali”. La richiesta era stata addirittura respinta dal segretario generale Harald Romer che gli spiegò, come da deputato potesse chiedere solo i suoi. Cappato ha dovuto formalizzare la richiesta in una risoluzione presentata all’Europarlamento che finalmente l’ha approvata a larga maggioranza (355 si, 18 astenuti e 195 contrari, tra i quali tutti i deputati del PDL).La risoluzione, che comunque non avrà seguito, in quanto la legislatura si sta avviando alla sua conclusione, prevedeva la possibilità di avere la disponibilità di informazioni sulle presenze dei parlamentari, con pubblicazione ed accesso al sito web del Parlamento Europeo.
Ma che cosa dicono i documenti ufficiali che, cocciutamente, Delort ha raccolto uno dopo l’altro in questo mare di difficoltà? Dicono esattamente quello che c’era da aspettarsi sui nostri euro deputati, i più pagati , i più assenteisti ed i più fannulloni: fra i primi 100 eurodeputati più presenti a Strasburgo gli italiani sono solo 3, meno di 1/3 dei tedeschi ed inglesi, 1/5 dei polacchi, ma svettano fra gli assenteisti classificandone 10 fra i primi 20.
“Com’è possibile” , si chiede Gianantonio Stella,” che pur avendo l’Italia un decimo dei seggi europei ci ritroviamo con soli sei rappresentanti nella classifica dei 250 più presenti nelle varie commissioni?” “Com’è possibile che abbiamo solo dieci parlamentari fra i primo cento più assidui, quando 17 sono gli spagnoli, 25 gli inglesi e ben 39 i tedeschi?.” Dominiamo invece nelle posizioni di coda, ben 9 fra gli ultimi 21 e ben 37 (metà dei nostri europarlamentari) oltre la 800 esima posizione (sul totale di 921). Oltre il 900° posto troviamo Gianni De Michelis, Cirino Pomicino, Raffaelle lombardo, Alessandra Mussolini ed Umberto Bossi.
L’altra notizia,che fa venire una bile così ,riguarda le indennità dei parlamentari europei. Com’è risaputo, i nostri europarlamentari non sono solo assenteisti e fannulloni, sono anche i più strapagati all’interno del Parlamento Europeo, godono di alte, altissime indennità , che, fortunatamente, dalla prossima legislatura verranno erogate non più dai singoli Stati membri, ma , finalmente, dal Parlamento europeo che ha già fissato un’unica indennità, uguale per tutti i parlamentari, di 7.000 €, in genere, più elevata rispetto a quella finora riconosciuta a tutti i parlamentari, ma decisamente più ridotta per i nostri europarlamentari.
Ebbene sembra proprio - se ne parlava ieri sera su “Exit”- che sia pronta una leggina per riconoscere un’integrazione ai nostri parlamentari per “adeguarli” alle indennità alle indennità percepite dai membri del Parlamento Italiano. Il Paese è in crescita zero, l’economia italiana è quella che più arranca e la più debole nell’area UE, c’è stato il terremoto in Abruzzo che impegnerà risorse fino a raschiare il fondo del nostro disastrato bilancio, però i soldi per i nostri già strapagati parlamentari devono, comunque, saltare fuori.
|