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RASSEGNA STAMPA

n. 1320 del 11/09/2007

LA CASTA E I SUOI COSTI, VISTI DALL' AUSTRALIA

Ho appena finito di leggere con incredulità e anche amarezza il libro «La casta» di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Le vorrei chiedere quali sono state le conseguenze della pubblicazione di questo libro. È cambiato qualcosa? Ci sono state inchieste? O è solo aumentata la sfiducia, lo scoraggiamento, e il cinismo verso i politici?

Io sono stata parlamentare in Australia per 18 anni. Ho avuto molte responsabilità, alcuni vantaggi e uno stipendio dignitoso. Oggi, ritirata dalla politica, godo di una pensione dignitosa e credo che sia tutto quello che abbia diritto di aspettarmi. Sydney (Australia)

Cara signora Arena, il libro di Rizzo e Stella è stato uno dei maggiori successi editoriali degli ultimi anni (le copie vendute sono più di 800.000) ed è ancora oggi continuamente citato nelle lettere che giungono a questa rubrica. Non vale la pena, quindi, di riassumerne il contenuto per i lettori. Piuttosto che rispondere direttamente ai suoi quesiti, proverò a descrivere l' evoluzione della politica italiana durante gli ultimi quindici anni. Trarrà lei le sue conclusioni.

Nel 1992 (l' anno di Tangentopoli) la classe politica era, letteralmente, in ginocchio. Colpita da avvisi di reato, mandati di comparizione, inchieste giudiziarie e ordini di cattura, dovette sottoporsi a una sorta di pubblico lavacro e perdere alcune vecchie prerogative, fra cui il finanziamento statale dei partiti politici, previsto da una legge degli anni Settanta. Fu quello il momento in cui sarebbe stato possibile riformare il sistema politico ed eliminare alcune delle cause istituzionali che hanno favorito la nascita di una casta e lo stravagante aumento della spesa pubblica: il bicameralismo perfetto, un numero di parlamentari sproporzionato alle esigenze del Paese, la proliferazione degli enti pubblici e delle autorità locali.

Ma la stagione delle riforme si concluse con risultati mediocri e la classe politica, solo parzialmente rinnovata e ormai rinfrancata, cominciò a imitare, per molti aspetti, i manager delle grandi aziende. Non poté distribuire a se stessa «stock options» (lo Stato non è una società per azioni), ma aumentò i propri salari e soprattutto quei vantaggi «extracontrattuali» che in inglese vengono chiamati «perks»: spese di viaggio, assistenza sanitaria, pensione, rimborsi per l' assunzione di collaboratori, minuti servizi garantiti all' interno dei palazzi parlamentari.

Un ministro del governo Prodi, Franco Bassanini, riuscì a fare approvare una legge che si proponeva di ridurre il numero dei membri del governo. Ma lo stesso Prodi, quando tornò al potere nel 2006, finì per accontentare i suoi molti alleati con una generosa distribuzione di ministeri e sottosegretariati (oggi, se non sbaglio, sono 99). Tenga presente, cara signora, che ogni titolare di una carica governativa è in realtà una falla da cui escono rivoli di denaro pubblico: automobili di servizio, viaggi, computer, cancelleria e una legione di consulenti che hanno a loro volta bisogno di denaro per arredare i loro uffici, viaggiare, pagare i propri collaboratori. Lo stesso è accaduto nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni.

Mentre l' Italia proclamava la necessità di ridurre i funzionari dello Stato (quelli che voi chiamate «public servants»), è nata nel Paese una struttura parallela privata, ma pagata con denaro pubblico. Sono migliori dei funzionari? Qualche volta sì, ma in molti casi formano la corte che ogni uomo politico cerca di creare per meglio governare il proprio collegio e dare una dimostrazione della propria influenza.

A quanto ammonta, per lo Stato, il costo della politica? Il calcolo dipende naturalmente dalla valutazione delle spese e della loro inutilità. In una intervista a La Stampa del 3 settembre, il senatore Cesare Salvi (autore con Massimo Villone di un libro, «I costi della democrazia», pubblicato da Mondadori nel 2005) sostiene che la cifra potrebbe aggirarsi sui 6 miliardi di euro. Ma Confindustria, dal canto suo, parla di 4 miliardi e Giulio Santagata, ministro per l' Attuazione del programma di governo, propone risparmi per un miliardo e 300 milioni di euro. Per cominciare a risparmiare, sempre secondo Salvi, basterebbe «ridurre i membri del governo, dei parlamentari, dei consiglieri regionali».

Ma per farlo, ovviamente, occorre un governo forte, una maggioranza omogenea, un presidente che abbia i poteri di un premier britannico o di un cancelliere tedesco: condizioni che oggi, in Italia, purtroppo non esistono. (Romano Sergio)


Corriere della Sera, 7.09.2007


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