Solo uno su 386 (molti dei quali primari) accetta di stare in trincea
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A nome di chi scrivono, i medici di Vibo Valentia autori della lettera che chiede polemicamente la chiusura dell'ospedale? Questo è il punto. Perché se scrivono a nome di tutti i colleghi (anche se non sembra visti gli accenni polemici ai «tanti» imboscati «grazie ad una raccomandazione politica») sbagliano mira. Per carità, può darsi che i giornali e le televisioni talvolta abbiano calcato la mano pigliandosela frontalmente con gli errori di certi medici senza valutare appieno il contesto, cioè le strutture sanitarie disastrose nelle quali lavorano. Può darsi. Ma da qui al sentirsi vittime d'una sorta di immotivata e offensiva fobia collettiva («derisi, maltrattati, oltraggiati, offesi, aggrediti, intimiditi») ce ne corre. Che senso ha denunciare che quello di Vibo Valentia è «l'unico esempio tra gli ospedali italiani e d'Europa nel quale gli eventi infausti e le disgrazie portano alla persecuzione quotidiana e selvaggia di un'intera categoria di professionisti »?
Ma certo, gli «eventi infausti e le disgrazie» possono capitare ovunque. Anche nel più bello, nuovo, lindo, efficiente ospedale svizzero o svedese. Ma lì sì, l'invocazione del destino crudele è più facile da accettare: negli ospedali calabresi, diciamolo, il Fato ha più probabilità di incidere. Ci si può schiantare in curva sulla neve anche con una «4x4» perfetta con le gomme invernali e le catene: senza catene e con le gomme lisce, però, è più facile. O no? Questo è il problema, che persone di buon senso dello stesso «Jazzolino» hanno segnalato all'autorità giudiziaria: in una situazione come quella dell'ospedale di Vibo, «alla lunga incidenti non possono non avvenire ». E infatti sono avvenuti. Colpa dei giornali? Delle tivù? Dell'opinione pubblica? Ma per favore! Dietro il legittimo scoramento dei camici bianchi aggalla nella lettera la solita, vecchia, asfissiante tentazione di gridare al complotto. Del Nord contro il Sud, dei ricchi contro i poveri, delle province calabresi forti contro quelle deboli: «Vibonesi! Vogliono togliervi il Vostro ospedale!». Un passaggio colpisce su tutti. Quello in cui si lamenta che alla fine tutto va a ricadere sul Pronto Soccorso «povero di personale che colleziona turni su turni» lavorando «eroicamente, per garantire la salute dei cittadini, fra un avviso di garanzia ed una maledizione». È verissimo. Ma perché? Perché il Settentrione drena i soldi, Roma è spilorcia, la politica è impicciona e il governatore Agazio Loiero è un incapace?
Ma dai! Quel pronto soccorso ha un solo medico dipendente in organico (uno solo: uno!!!) più cinque giovani convenzionati part-time delle Guardie Mediche fino a un massimo di 36 ore settimanali perché su 386 dottori a carico della Asl non ce n'è un altro che accetti di stare lì, in trincea. Perché abbondano i «primari » (40), abbondano i dirigenti di struttura semplice (85, compresi servizi in-dis-pen-sa-bi-li come «tutela degli animali da affezione e lotta al randagismo») e abbondano i cervelloni ad «alta specializzazione» (153) ma non si trova un novello Ippocrate disposto a farsi carico delle emergenze. Il tutto in linea con un andazzo mortale: la scelta di dare la precedenza non all'utente ma alla gestione (politica e clientelare) dei posti di lavoro. Ed ecco che a Napoli non ha la precedenza il cittadino che non sa dove buttare i rifiuti ma i 20 mila spazzini (proporzionalmente 25 per ogni netturbino milanese) che devono essere assunti. A Palermo non il passeggero degli autobus urbani ma i 110 precari, tutti e 110 senza patente d'autobus, che vengono stabilizzati. A Vibo non il malato ma i 650 impiegati amministrativi e tecnici (e solo 10 vanno a timbrare il cartellino in ospedale!) tra i quali la stessa direzione segnala 400 esuberi. Aggiustino la mira sui veri colpevoli dello sfascio e della sfiducia, i medici di Vibo. E si accorgeranno di sentirsi meno soli. (Gian Antonio Stella)