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RASSEGNA STAMPA

n. 1441 del 26/02/2008

PENSIONI PRIVILEGIATE, IL PARLAMENTO FALLISCE L' ULTIMO ASSALTO

Il caso salta in extremis la «sanatoria» sui contributi non versati per il lavoro svolto prima dell' elezione - 397 I giorni di lavoro da cronista dell' ex Guardasigilli Clemente Mastella, che da qualche anno prende la pensione da giornalista

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Ci hanno riprovato. Mentre gli italiani erano distratti dalla campagna elettorale ci hanno riprovato. Mentre gli italiani erano distratti dalla campagna elettorale, convinti che andando alle urne il Parlamento fosse già chiuso, hanno cercato di infilare nel 1000 proroghe una sanatoria per la pensione dei politici e dei sindacalisti. Una furbata sventata solo all'ultimo momento. Ripresentata di soppiatto e sventata una seconda e una terza volta. Per capirci qualcosa occorre fare un passo indietro. Cioè alla legge che, tanti anni fa, stabilì che chi era stato scelto per una carica elettiva, deputati e senatori consiglieri regionali anche sindacalisti, avesse diritto non solo a conservare il posto di lavoro andando in aspettativa talvolta perfino retribuita come nel caso dei magistrati e dei professori universitari, ma anche a non perdere un centesimo della pensione. E i contributi? Li pagava interamente la collettività, cioè le diverse mutue, facendoli figurare come fossero pagati dal dipendente momentaneamente impegnato in Parlamento o in qualche sindacato. Da qui il nome: contributi figurativi.

Esempi? i due beneficiari più noti sono probabilmente Clemente Mastella che da qualche anno prende la pensione da giornalista pur avendo fatto il cronista in tutta la sua vita solo per 397 giorni e Vincenzo Scotti che oltre al vitalizio da parlamentare-€ 10.000 al mese-incassa anche la pensione di dirigente industriale, lavoro che può avere svolto pochino avendo fatto il parlamentare per sette legislature. Insomma era uno scandalo. Che per la prima parte, cioè il diritto al doppio stipendio, cessò nel 1992 in coincidenza con le fibrillazioni che portarono alla fine della cosiddetta prima Repubblica. E per la seconda parte è finita parzialmente nel 1999, quando fu deciso che questi eletti potessero si continuava ad accumulare il diritto alla pensione per il lavoro che facevano prima. Ma a patto che d'ora in poi pagassero di tasca propria almeno una parte dei contributi. Cioè la quota che comunemente è a carico del dipendente: l'8%. Il resto sarebbe rimasto a carico della collettività.

Fatto sta che, forse perché abituati ad avere tutto ma proprio tutto o forse perché speravano che un giorno o l'altro le cose un’aggiustatina, molti decisero di non pagare neppure quell'8%. Ed è lì che, nella convinzione che gli italiani fossero impegnati a seguire le liti a sinistra tra Pannella e la Binetti o quelle a destra fra Casini e Berlusconi e dunque indifferenti a quanto accade in un Parlamento già defunto, l'onorevole Vincenzo Nespole , appartenente a quell' Alleanza nazionale a parole schieratissima contro i privilegi catastali dei parlamentari, ha presentato in commissione un piccolo emendamento da infilare nel decreto 1000 proroghe, il quale a questo punto per usare un'antica battuta di Giuliano Amato è “l'ultimo treno per Yuma” L'unica legge destinata ad arrivare fino in fondo.

Diceva questo emendamento, guardato con simpatia da uno schieramento trasversale di destra e sinistra, che per quanti avevano ricoperto funzioni pubbliche elettive o cariche sindacali venivano riaperti fino al 31 marzo 2008 tutti i termini per presentare la domanda di accredito delle contribuzioni figurative per i periodi anteriori al 1 gennaio 2007. In pratica sanava quasi tutto il passato. Un ritocco incredibile, dopo mesi di polemiche sui costi della politica. Ah no questo no, si è messo di traverso il di pietrista Antonio Borghesi. E la cosa, non potendo passare se non col silenzio complice di tutti è saltata. Breve pausa e ci hanno riprovato. Niente da fare. Altra pausa e nuovo tentativo. Per ora è saltato tutto. Per ora. (Gianantonio Stella)


Corriere della Sera, 24.02.2008


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