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EDITORIALI E COMUNICATI

n. 1709 del 16/02/2009

LE PROMESSE ELETTORALI PASSANO, MENTRE LE PROVINCE RESTANO

Cento e otto anni dopo la prima proposta di abolire le province, presentata dal deputato Gesualdo Libertini che le marchiava come enti "per lo meno inutili", destra e sinistra dicono che occorre ancora pensarci su. Auguri. Dice uno studio dell'Istituto Bruno Leoni che costano oggi il 65% in più di otto anni fa? Amen. Sono in troppi, a volerle tenere... La Lega, poi... "Silvio, batti un colpo", ha titolato un giornale non ostile alla destra come "Libero", che in questi giorni ha rilanciato la battaglia per sopprimere quegli enti territoriali che il sindaco di Milano Emilio Caldara bollava già nel 1920 come "buoni solo per i manicomi e per le strade". Macché: non lo batte affatto. Nonostante solo pochi mesi fa, fiutando l'aria che tirava nel Paese sulla "casta", nella scia delle denunce del "Corriere", si fosse speso in promesse definitive. C'erano le elezioni alle porte, il Cavaliere voleva stravincere e quando la signora Ines di Forte dei Marmi, durante la chat-line organizzata dal nostro giornale, gli chiese cosa avesse in mente per "abbassare finalmente i costi folli della politica italiana", rispose: "La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei consiglieri comunali". E le Province? "Non parlo delle Province, perché bisogna eliminarle".Otto settimane dopo, già sventolava trionfante il primo successo, riassunto dai tg amici con titoli che dicevano: "Abolite nove Province". Sì, ciao. La notizia era un'altra: nove province dovevano cambiare nome. D'ora in avanti si sarebbero chiamate "aree metropolitane". Fine. Un ritocco non solo semantico, si capisce. Ma un ritocco. Presto smascherato da un anziano gentiluomo di destra come Mario Cervi che sullo stesso "Giornale" berlusconiano, dopo aver letto la bozza della riforma federalista di Roberto Calderoli, scrisse: "Alcune norme del disegno di legge hanno l'obiettivo di "riconoscere un'adeguata autonomia impositiva alle Province". Ma allora, dopo tanti annunci di abolizione, le Province ce le teniamo, e anzi ne avremo di nuove perché l'alacre fantasia dei notabili locali è sempre all'opera nel varare enti inutili? A occhio e croce si direbbe che questa sia una vittoria non del nuovo ma della vecchissima politica distributrice di poltrone".

Parole d'oro. Che Francesco Storace, con brutalità gajarda, traduce così: "Bravi! Ci avevano promesso di abolire le province e il bollo auto ed è finita che fanno gestire il bollo auto alle province". Insomma, chiede oggi il deputato del Pd Enrico Farinone, "la maggioranza è favorevole o contraria all'abolizione delle province? I cittadini meritano un chiarimento". Giusto. Non solo dalla destra, magari. Quindici anni fa, nella "Bicamerale" presieduta da Ciriaco De Mita, furono i pidiessini Franco Bassanini e Cesare Salvi a spingere Augusto Barbera a ritirare la proposta di sopprimere le province in linea con quanto aveva deciso, alla Costituente, la Commissione dei 75: "L'argomento è di grande interesse, ma merita una riflessione ulteriore". Riflessione ancora in corso. Al punto che quando Massimo Calearo ha rivelato che stava lavorando con altri parlamentari di sinistra e di destra all'abolizione dell'ente, qualche settimana fa, è stato bacchettato per primi dai suoi stessi amici di partito. Dal segretario regionale Paolo Giaretta (nel nostro Veneto, una delle Regioni più centraliste d'Italia, le nostre Province non sono enti superflui, anzi") al presidente della Provincia di Belluno Sergio Reolon: "L'unico inutile, qui, è lui, non le Province". Di più: il democratico Giorgio Merlo si è avventurato a dire che quella per l'abolizione delle province è "una campagna qualunquista e demagogica". Quanto a Walter Veltroni, naviga a vista: "Sì, penso ci si possa arrivare. Ma non sono un demagogo. E' facile dirlo in campagna elettorale, poi in genere chi lo dice è il primo a presentare proposte per istituirne di nuove..." Lui sarebbe per "ridurre la sovrapposizione dei livelli di governo, a partire dall'abolizione delle Province, laddove vengano costituite le Città metropolitane". A farla corta: boh...

E' a destra, però, che i mal di pancia sono più forti. Un po' perché il rilancio di Feltri e la sua raccolta di firme vengono vissuti da alcuni come sassate scagliate da mano amica ("tu quoque, Vittorio: proprio adesso...") che rischiano di mandare in pezzi il quadretto di una destra felicemente compatta. Un po' perché le prime crepe si vedono già. E si allargano ogni giorno di più. Gianfranco Fini è stato netto: "Nel programma del Pdl c'era l'abolizione delle province ed è vero che a tutt'oggi non e' stato fatto nulla. Personalmente non ho cambiato opinione". E così Ignazio La Russa: "Facciamolo. Con un percorso graduale. Che duri tre o quattro anni. E consenta alle province di cedere le proprie competenze a Regioni e Comuni. In An questa opinione è largamente condivisa. Una riforma seria le deve abolire tutte". Gianni Alemanno fa sponda: "Sono sempre stato favorevole". La Lega, però, non vuol sentirne parlare. Certo, uno come l'ex presidente Stefano Stefani, mesi fa, si era sbilanciato: "Sono d' accordo con coloro che propongono la prima, sostanziale rivoluzione, l'abolizione delle Province". Ma è stato subito stoppato dalla ex-presidentessa leghista della sua stessa provincia di Vicenza, Manuela Dal Lago: "Perché, piuttosto, non abolire subito i Prefetti e le prefetture?" "Le province sono nella Costituzione!", ha urlato ad "AnnoZero" Roberto Castelli ergendosi a baluardo della Carta, dimentico di quando il suo partito voleva buttare il tricolore nel cesso. Finché è intervenuto Umberto Bossi che, memore del fatto che il suo partito non guida neppure una grande città ma controlla sei province (su 109!), ha chiuso: "Finché la Lega è al governo, non si toccano". Fine.

Al punto che Renato Brunetta, accantonando la durlindana decisionista che da mesi mulina impavido, è stato insolitamente prudentissimo: "Le Province sono enti inutili, che non servono, ma che non riusciremo a cancellare in questa legislatura". Ma come: neppure con cento seggi di vantaggio alla Camera e cinquanta al Senato? E le promesse elettorali? Gli impegni solenni? Niente da fare. E' la politica, bellezza. Al massimo, ha detto ieri Giulio Tremonti, si può fermare la nascita di province nuove. Come quelle di Aversa, Pinerolo, Civitavecchia, Sibari, Sala Consilina...


Gian Antonio Stella, 5.12.2008


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