Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Celato da un telo verde che impedisce ai cittadini di vedere, in via Cavallotti a Padova, quartiere Santa Croce, in piena città giardino, a fianco del parco di Villa Montesi, prosegue indisturbato lo scempio di essenze arboree di alto fusto divelte, seppellite da terra e calcinacci, in uno scenario di natura violentata e soppressa da gigantesche gru, ruspe a ed altri mezzi meccanici. Non c’è nessun cartello che indichi il progetto, nessuna motivazione che giustifichi la trasformazione di un parco in cumuli di terra, e in un gigantesco terrapieno: solo l’indicazione di lavori in corso e un divieto di accesso che suona come una dichiarazione di «lasciateci distruggere in pace».
Un paio d’anni fa avevo denunciato il primo abbattimento, nello stesso luogo, di alcune piante centenarie e l’eco, nella stampa e nelle tv private sembrava aver bloccato l’operazione: evidentemente il destino di questo parco era ormai segnato, hanno lasciato passare un po’ di tempo, che si calmasse la reazione e l’indignazione dei cittadini ed il disegno distruttivo prosegue.
Ma perché? Perché tanto accanimento contro la natura e l’ambiente? Perché succede questo con un’amministrazione di sinistra, con un vicesindaco come Ivo Rossi dallo specchiato passato ambientalista? Perché l’amministrazione comunale, tutta proiettata sulla realizzazione di park sotterranei in centro (politica fra l’altro abbandonata dai comuni virtuosi perché attira le auto invece che allontanarle dal centro) e mega cavalcavia perde di vista e si disinteressa della tutela e della conservazione del sempre più esiguo patrimonio arboreo che ancora rimane in questa città?
Il piccolo comune che finora era riuscito a salvaguardare il suo territorio dalla cementificazione ovunque imperante, piccola nicchia di verde fra comuni, come Maserà ed Albignasego dove ormai la speculazione edilizia la fa da padrone, sembra ormai soccombere al cemento: si costruisce ovunque, ovunque sorgono cantieri ed è tutto un susseguirsi di gru in movimento.
E’ stata cancellata la Commissione Edilizia che prima filtrava le concessioni a costruire, vengono tolte le prescrizioni che prima tutelavano il paesaggio, sostituendole con «indicazioni» che non tutelano più niente e quindi via a sette condomini con 50 appartamenti vicino a Via Don Torresin (altezza 9 m.), quindi altri condomini (ben 9) in Via Da Rio e di fronte alla Torre, in un territorio che fino a ieri rappresentava l’icona della dolce campagna veneta con il fiumiciattolo, gli aironi bianchi, il vasto orizzonte.
E poi una porcilaia a Carrara S.Stefano trasformata in nuove residenze per nuovi 10.000 mc con altre 50 abitazioni e quindi altri più di 10.000 mc di nuove costruzioni che andranno a fagocitare territorio agricolo in seguito alla nuova localizzazione del Palazzetto dello Sport. A questo grande attivismo urbanistico non seguono altri interventi più socialmente rilevanti.
Infatti, a distanza di sei anni dalla petizione con la quale centinaia di cittadini chiedevano urgentemente una pista ciclabile in Via Figaroli (a tutela dei numerosi bambini che quotidianamente la percorrono in bicicletta per raggiungere le scuole del paese), la ciclabile è ancora un mero progetto sulla carta: progetto era con la vecchia amministrazione, progetto ancora è rimasto con la nuova amministrazione insediata da quasi tre anni.
Ma il fiore all’occhiello della nuova urbanizzazione sono gli ampliamenti «carraresi»: un modello costruttivo peculiare della zona che trasforma, grazie ad un porticato che unisce due unità immobiliari, le nuove costruzioni in semplici «ampliamenti». Nemmeno il castello di S. Pelagio, con il suo celebre museo dell’aria è stato risparmiato da questa furia costruttiva: proprio di fronte al castello, nell’area verde che lo tutelava, proprio a celare il magnifico edificio per chi transita in autostrada, perfettamente inserito nel cono visuale del viaggiatore (e potenziale turista) qualcuno ha costruito che cosa? Ma naturalmente un bel parallelepipedo di cemento, un utilissimo ricovero attrezzi che magari, se il tempo sarà generoso, magari con qualche aiutino e con qualche condoncino potrebbe diventare, perché no, una bella villetta.
Muori. Così diceva un ripetuto proverbio perché dopo aver visto un posto considerato tanto bello si era visto tutto e si poteva anche passare a miglior vita…Ma all’inizio dell’estate e allo scoppiare del primo caldo torrido Napoli e la Campania si sono impossessate della cronaca a causa dell’emergenza immondizia annunciata da lontano e che nessuno ha fatto niente per evitare: migliaia di tonnellate di rifiuti abbandonate lungo le strade delle città e dei paesi campani, discariche rigurgitanti, altri siti per la “monnezza” con i paesani che si oppongono come i Sanniti ai Romani, e infine la spazzatura incendiata che libera diossina mentre perfino il presidente della Repubblica è costretto a richiamare ai propri doveri chi avrebbe dovuto provvedere per tempo e non lo ha fatto.
C’è da farsi venire un attacco di bile: perché in Italia è tutto così improbabile? Quasi niente va come dovrebbe, la noiosa normalità pare in spregio a tutti, le istituzioni e lo Stato stanno nello stellone ufficiale che accompagna il titolo di Repubblica ma assai poco nei comportamenti quotidiani, lo Stato, se mai è possibile, va ingannato e deriso, ma lo Stato siamo noi.
Intanto la monnezza inquina le falde e i terreni nella Campania felix, terra di canzoni sceneggiate e camorra, muoiono come in un orrendo presagio pecore e agnelli, animali che pascolano e stanno con il muso in terra. Non c’è che dire, è proprio una bella danza macabra, una vergogna d’altri tempi sopportata e ostentata come e più di una battaglia risorgimentale. Come andrà a finire?
Qualcuno dopo “La morte a Venezia” scriverà qualcosa del genere anche per la città del Golfo? Lo sapremo entro l’estate, ma nel frattempo, fosse anche solo per l’intenzione, sentitamente ringraziano: la Colonia Batterica del Vibrione Colerico; l’Orchestra da Camera (mortuaria) per i funerali in musica; la Società Anonima di Stoccaggio e Rilascio della Libera Diossina…
E ancora, si fregano (allegramente) le mani: la Confraternita di Utilità Sociale dei Monatti e Beccamorti integrati per il gran lavoro che si prospetta (verrà quotata in Borsa?); la Cooperativa Agroalimentare della Bufala Campana per la produzione della mozzarella da scarto di plastica, perché la mozzarella prodotta con il latte degli intelligenti bovini sarà consumabile solo a rischio e verrà eletta a cibo-roulette dagli aspiranti suicidi proprio come il pesce-palla giapponese, basta sbagliare a tagliarne una fettina e il veleno che c’è dentro si diffonde nelle fibre e ammazza all’istante lo stravagante commensale.
A chi dobbiamo dire grazie? All’ecomafia che traffica in rifiuti e li scarica in campagna, molte grazie alla classe politica che è rimasta svogliatamente alla finestra a guardare, alla goffa burocrazia e a secoli di malgoverno, l’unico che abbia retto quelle terre da Federico II (XIII secolo) a questa parte. Eh già! Si tratta pur sempre di Napoli, si dirà.
Mica vero, per un fenomeno che vede far quattrini sporchi dalla spazzatura, non occorre andar lontano, ma qui da noi, nella Bassa (sarà un caso?) Padovana, con il nostro “immondiziere”, il consorzio dei comuni, i sindaci, gli amministratori, i politici, ieri inquisiti, oggi imputati in un maxi-processo per affari illeciti lucrati sull’asporto rifiuti e pagati con i soldi di tutti. Risparmiati, per ora, i roghi delle immondizie e e le colonie di ratti sulla via della migrazione con il fagottello di cenci in spalla.
Una montagnola di quattrini su cui si sono arrampicati tutti, per poi farsi trascinare da quella cima giù in discarica, tutti dietro al locale pifferaio di Hamelin con il suo seguito di roditori, topi e tope, affamati. Che scempio!
A chi dobbiamo dire grazie? Boh, fate un po’ voi. Intanto, buone vacanze!
(da "Celeste")
E’ assolutamente inaudito quello che si sta verificando in queste ultime settimane nella città partenopea ed in provincia. Cumuli e cumuli di spazzatura invadono la città deturpandola mostruosamente: il gioiello che ha fatto la storia d’Italia è diventata una discarica a cielo aperto.
Ormai non si contano più i chilometri e chilometri di spazzatura ammassati sui bordi dei marciapiedi, e non solo sui marciapiedi. Si elevano anche in altezza arrivando fino ai primi piani dei palazzi. I cittadini sono arrivati al limite della sopportazione, ci sono proteste ovunque e scontri anche con le forze dell’ordine, e, come se non bastasse, le precarie condizioni igieniche fanno il resto. L’aria è irrespirabile, i topi sono dappertutto, gli incendi hanno fatto diventare tutta la provincia di Napoli una bomba batteriologica.
La raccolta differenziata, nella maggior parte dei casi, non viene effettuata e questo rende il tutto ancora più difficile, non potendo o facendo fatica a riciclare quello che è possibile riciclare. Certo è che se pensiamo che nella zona di Avellino c’è una discarica a cielo aperto dove i rifiuti sono stati addirittura seppelliti sottoterra, è quanto dire.
Ovviamente per fare le operazioni di ammodernamento servono i finanziamenti, già… i soldi! Ma i fondi che lo Stato elargisce a ciclo continuo, che fine fanno? Che cosa sta succedendo? Dove sono gli Enti preposti alla salvaguardia del territorio? Regione, Provincia, Comune, restano a guardare questo scempio senza fare nulla? Ma perché succede sempre a Napoli? Quali arcani misteri si celano dietro a questo enorme scandalo?
Forse troppi sono gli interessi che circolano intorno a questo annoso problema che probabilmente non si vuole risolvere. E’ sempre la solita storia: i soliti furbi mettono in tasca il proprio tornaconto ed il territorio viene lasciato nell’incuria più totale facendo finta di niente. La prova è che nessuno finora ha agito in modo deciso, e noi, “CITTADINI ITALIANI”, che paghiamo le tasse più care d’Europa rimaniamo esterrefatti ed impotenti davanti a situazioni da terzo mondo. Se è così che si governa il bene pubblico, allora teniamoci pure la “monnezza”!
Non vivo a Monselice ormai da molti anni, ma nel paese della Rocca sono nato, cresciuto, ho le mie radici, ho dedicato al mio paese una lunga ed appassionante ricerca storica ed una tesi di Laurea sulla Storia della Storiografia monselicense. Apprendo dalla stampa del progetto di costruzione di un ascensore che, sventrando il colle, dovrebbe portare i turisti vicino alla sua sommità, un progetto di 4-5 milioni di € che la Regione impegnerebbe per il manufatto.
Apprendo anche della singolare velocità con la quale si è passati dalla gara d’appalto all’assegnazione ed all’inizio dei lavori: una velocità non riscontrabile in nessun’altra opera pubblica (magari più utile come il passante di Mestre od altri interventi urgenti nel campo della viabilità).
E tutto questo - un’opera che incide nel tessuto monumentale della città - con un costo stratosferico, di cui nessuno o pochissimi hanno mai sentito la necessità, tutto questo senza sentire la volontà dei cittadini, senza promuovere uno straccio di consultazione popolare, tutto questo probabilmente contro la volontà dei cittadini che ora firmano in massa contro il progetto, considerandolo uno scempio ambientale.
E di scempio ambientale e di un’ opera inutile e costosa si tratta, un progetto che priva il luogo del suo fascino che deriva proprio dal fatto di essere rimasto per tanti anni inviolato perché privato ed inaccessibile, dove il tempo si è fermato, ricchissimo di testimonianze archeologiche romane, medievali ed ultimamente, ritrovate quasi intatte, anche dell’età longobarda.
E proprio da queste ultime testimonianze, da quei ruderi di abitazioni trovati vicino alla sommità del colle il visitatore, chiudendo gli occhi, può sentire gli stessi profumi di vegetazione ed immaginare, riaprendoli, di vedere il paesaggio che vedevano quegli antichi guerrieri: luoghi che richiedono il silenzio per meglio apprezzarli, perché solo nel silenzio si colgono i veri significati, le voci del passato, la grandezza ed unicità della Rocca.
Ora si vuole trasformare l’itinerario di pellegrinaggio, le chiesette, la grande ascesa spirituale, il mastio, quasi inaccessibile, estremo elemento di una struttura difensiva, in qualcosa da cogliere subito, meta di un turismo di massa, mordi e fuggi, trasformando ed invertendo l’itinerario, in velocità, dall’alto al basso, sfregiando con l’ascensore le stesse viscere della Rocca.
Io credo che questo sia un progetto inutile e sbagliato, probabilmente dettato più da esigenze speculative, legate agli affari ed agli appalti che alla necessità di tutelare la storia ed il turismo di Monselice.
Io credo che il miglior servizio, la migliore opera che possiamo riservare a questo fantastico bene ambientale, che è la Rocca di Monselice, consista solamente nel garantirne una buona manutenzione, con la pulizia della scalinata, lo sfalcio dell’erba nei terrazzamenti, la cura delle mura lungo la passeggiata delle Sette Chiesette e la pulizia e lo sfalcio dell’erba anche lungo il versante dell’itinerario che scende verso la Chiesa di S. Martino (lasciato incolto e pieno di erbacce con il pensionamento del vecchio custode).
Questi e solo questi sono i veri servizi e le opere di cui i monselicensi e il colle della Rocca hanno veramente bisogno e che si aspettano dall’Ente pubblico.
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