Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Si attesta a circa 35.000 milioni di euro il previsto taglio al Fondo Sanitario Nazionale nel triennio 2012 – 2015, una scelta quanto mai opinabile perché pochi sanno che la Sanità è un settore in grado di produrre oltre l’11% del PIL nazionale, assorbendone solo il 7,1%. L’Italia continua ad essere uno tra i Paesi europei che meno investe nella prevenzione, nonostante sia ormai noto a tutti che la prevenzione è la miglior soluzione per potersi garantire un SSN sostenibile.
La sensazione vissuta dai cittadini è quella di una progressiva erosione del SSN a tutto vantaggio del servizio privato che diventa sempre più concorrenziale causa il progressivo ed inarrestabile aumento dei ticket sanitari. Oggi ai cittadini si chiede sempre più di sostenere con le proprie tasche le spese per la cura della propria persona, è un continuo sacrificio non più sostenibile per lungo tempo. Oggi la gente non ha più soldi per pagare il doppio ticket su visite ed esami e quindi sempre più persone scelgono di non curarsi più.
L’allarme arriva dal calo delle prestazioni ambulatoriali che, ad esempio, nell’ultimo anno, nella regione Veneto si sono ridotte di circa 2.300.000 unità passando dalle 71.068.250 del 2011 alle 68.792.023 del 2012 e l’incasso del ticket è diminuito di ben 20 milioni di euro, passando dai 198.461.502 euro del 2011 ai 178.433.861 euro del 2012. Inoltre il CUP dell’Azienda Ospedaliera di Padova ha perso circa il 30% delle prenotazioni. Quanto detto non è indice di un diffuso benessere o di uno stato di salute generalizzato più che ottimale, ma di una progressiva regressione della prevenzione sanitaria. Spesso le persone che vivono di salario o di stipendio faticano a pagare il doppio ticket e quindi rinunciano ad andare dal medico o si rivolgono al privato dove tante prestazioni costano meno. Gli unici soggetti che continuano ad usufruire del SSN sono gli anziani ed i cassaintegrati perché sono categorie entrambe esentate dal pagamento del ticket. E’ drammatico oggi constatare che le gente non si cura più perché non ha il denaro per farlo. La conseguenza è che le prestazioni mediche offerte dagli ambulatori aperti dalle associazioni di volontariato caritatevole sono aumentate, nel 2012, del 200% e quando queste non sono più sufficienti spesso il cittadino oggi, piuttosto che pagare, si fa ricoverare in ospedale, intasando così corsie già super affollate.
Di fronte a questo quadro, diviene quindi molto importante restituire ai cittadini il diritto alla salute, dando subito applicazione agli impegni contenuti all’interno del recente decreto Balduzzi relativi al riordino dell’assistenza territoriale, con particolare riguardo alla nuova organizzazione dei servizi territoriali di assistenza primaria. Ed è proprio su questa strada che, recentemente la Regione Veneto si sta muovendo nell’ottica di dare attuazione ad una vera “spending review” nella sanità. A partire dal primo di settembre, tutte le strutture sanitarie della Regione Veneto saranno aperte dalle ore 20 alle ore 24, fine settimana e festivi compresi. Così facendo, sarà più facile accedere alle visite con maggiore libertà, senza chiedere permessi al lavoro; una novità importante specie per chi deve assistere una persona disabile o anziana.
I servizi concessi saranno quelli ambulatoriali, soprattutto radiologici, la cosiddetta diagnostica da grandi macchine. Così facendo si potranno sfruttare ed ammortizzare al meglio i costosi macchinari (da milioni di euro) che spesso restano spenti per buona parte del giorno: in media funzionano solo 3-4 ore contro le potenziali 8-12 ore. L’obiettivo di questa scelta? La riduzione delle liste di attesa, oggi arrivate ad un tempo di attesa medio di circa 6/9 mesi, una vergogna per il cittadino che paga fior fiore di contributi alla sanità pubblica e non si vuole piegare al ricatto della visita a pagamento, subito disponibile a soli pochi giorni dalla richiesta.
Quanto si spera accadrà va nell’ottica di quanto noi CITTADINI ATTIVI da tempo chiediamo. Il nostro sostegno c’è.
Armando Della Bella copyright © maggio 2013
Ho contattato, telefonicamente, un paio di volte perché non credevo alle mie orecchie, il CUP di Padova, Azienda Ospedaliera per prenotare una visita: conoscendo il nostro decrepito sistema sanitario ero preparato a tempi lunghi, anche lunghissimi, per effettuare la visita (mi è successo di attendere anche 1 anno), ma non mi aspettavo che, semplicemente per avere un contatto con l’operatore dovessi attendere in linea “per non perdere la priorità” 1 ora e 15 minuti.
Qui a Padova, quindi, per solo per prenotare una visita che magari si farà fra 1 anno o 18 mesi, bisogna stare al telefono per più di un’ora.
Ma questa, a mio avviso, non è solo malasanità, questa è pura follia, è gestire in modo demenziale il rapporto fra l’Azienda Ospedaliera ed il cittadino, è sancire l’irresponsabilità e l’inadeguatezza degli amministratori di questa Azienda.
Un milione di euro. Questa è la cifra che il dott. Adriano Cestrone, direttore dell’Azienda Ospedaliera di Padova, conta di poter recuperare da circa novecento madri, “colpevoli”, di aver pagato, tra il 2003 ed il 2010, solo il ticket sanitario, pari a 36 euro, quale corrispettivo al trattamento di fecondazione assistita. E proprio in questi giorni giunge, al domicilio delle interessate, il sollecito a pagare, retroattivamente, 400 euro, se la signora fu destinataria della tecnica “Fivet” (fecondazione in vitro), o 700 euro se alla paziente fu applicata la tecnica cosiddetta “Icsi” (fecondazione in vitro mediante iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo).
Se consideriamo che, spesso, di trattamenti se ne fanno più di uno prima di avere successo, ognuna di loro deve, in media, restituire circa 1.800 euro. Una bella differenza e un onere pesantissimo, specie di questi tempi, in cui le famiglie italiane soffrono le conseguenze dell’attuale crisi economica e finanziaria.
Vibrata sarà la nostra protesta verso le Autorità competenti perché fu la stessa Clinica Ostetrico-Ginecologica, diretta, nel periodo, dal prof. Antonio Ambrosini, che richiese, al tempo, solo il pagamento del ticket e non già gli oneri che, invece, una circolare interna dell’ospedale reclamava. L’applicabilità retroattiva è una prassi alquanto criticabile, specie se le persone erano tutte in buona fede. Ora sulle 900 povere ed ignare cittadine si scaricano le conseguenze dell’ennesimo episodio di mala gestione della Sanità Pubblica.
Dopo la buona notizia derivante dal recente recupero di circa 400 milioni di euro operato, dalla Regione Veneto, con l'accordo raggiunto in sede di conferenza delle Regioni e delle Province autonome sul ripartimento del fondo sanitario nazionale, ne arriva un’altra che invece offusca un po’ quella virtuosità di cui, da sempre, si fregia il Veneto e che riguarda la “Carta dei Servizi Asl”. Del caso si è occupato anche il movimento consumatori nell'ambito del progetto "SOS salute".
Si tratta di un documento esposto negli uffici “Relazioni con il Pubblico” e che contiene una sorta di patto tra gli enti che erogano servizi di pubblica utilità ed i cittadini. Questa “Carta dei Servizi” permette di conoscere l'organizzazione dell'azienda ospedaliera, le prestazioni offerte, le forme di assistenza, i reclami.
Le Asl purtroppo però, sull’argomento, non sono molto efficienti: 7 su 23 sono dotate di una versione cartacea, 6 hanno solo opuscoli informativi, 13 l'hanno inserita sul sito internet, 15 solo materiale informativo online. Soltanto Rovigo e Belluno hanno superato l'esame mentre Venezia è risultata la peggiore: possiede una carta dei servizi vecchia del 1989 nemmeno aggiornata in internet.
Anche altre realtà come Treviso, Vicenza, Bassano Del Grappa e Padova non possiedono una “Carta” stampata che tutti possano consultare, specie gli anziani. Perché non investire i fondi che eccedono nella cassa regionale della sanità per fornire la “Carta dei Servizi” a tutte le Asl aggiornandole e rendendo così più facile la vita a tutti gli utenti?
Intanto si pensa all’apertura, in Veneto, di un polo specializzato in malattie rare grazie ad un'intesa europea tra Veneto, Friuli, Carinzia e Slovenia. I cittadini partner potranno curarsi con oneri a carico della UE senza costi aggiuntivi. Viene messo in pratica il trattato di Schengen che permette ai pazienti di usufruire delle strutture ospedaliere comunitarie.
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