Il 9 aprile di sette anni fa, una coalizione guidata dal Governo degli Stati Uniti d'America e del Regno Unito, con le loro colonne dell’esercito, entravano nella capitale Irachena Baghdad da diverse direttrici fino ad arrivare nella piazza Tharir, in pieno centro. Nella piazza c'era una grande statua del dittatore, statua che divenne poi simbolo della fine del tiranno che governava il paese mediorientale da 35 anni durante i quali i popoli dell'Iraq sono stati privati di tutto: della libertà di poter usufruire delle risorse nazionali per il proprio sviluppo, come il petrolio, ma anche dell'aria per respirare.
Saddam Hussein aveva trasformato l'Iraq in una enorme caserma. Le due guerre, prima quella con l'Iran e poi quella del Golfo, e dodici anni di embargo avevano prodotto un esodo massiccio di Iracheni all'estero e un milione di morti.
Ebbene, a fronte di tale situazione disastrosa, oggi, nel bene e nel male, i popoli dell'Iraq sono contenti del cambiamento, della rinata possibilità di libertà. Nonostante le autobombe ed i kamikaze, in questi cinque anni sono nati settanta nuovi partiti, la libertà di stampa ha prodotto un fiorire di giornali e di Tv locali e satellitari.
Tutto questo con Saddam non c'era e non era possibile. Anche dal punto di vista economico qualche cosa è cambiato: prima non si poteva pianificare nulla, adesso si possono fare progetti, pur piccoli per il futuro. E' stato avviato un processo politico, pur lento, verso la democrazia del Paese, è stata scritta, con la partecipazione di tutti i rappresentanti, la nuova Costituzione che si può definire unica sia nel mondo Arabo che nel mondo Islamico.
La nuova costituzione garantisce il diritto di tutte le etnie e tutte le confessioni religiose.
Con tutto ciò non possiamo dire che l'Iraq è pacificato, tutt'altro. Nei trascorsi cinque anni terroristi di Al-Qaeda come Abu Musab al-Zarqawi, prima di essere ucciso, avevano deciso di trasformare l’Iraq in una terra bruciata ed gli jihadisti provenienti sia del mondo Arabo che nel mondo Islamico, in primis dei paesi limitrofi come l’Iran, la Siria e la Turchia, continuano ancora oggi con le loro azioni destabilizzanti, ma, per fortuna, senza successo.
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