Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Venerdì 12 giugno scorso è successo qualche cosa di più importante dell'elezione di un nuovo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran.
Ormai tutto il mondo sa che Ahmadinejad è stato rieletto per la seconda volta, ma per fortuna sa anche che vi è un movimento riformista che è disposto a lottare e a protestare a favore del cambiamento nel paese. Infatti, la massiccia protesta di Teheran lo dimostra. Da ieri sera fino a questo momento sono scesi più di 2 milioni di persone per le strade della capitale dell'Iran.
Ma purtroppo la risposta repressiva del regime ha causato finora 7 morti e molti feriti. Proprio stamattina i famigerati Pasdaran, le guardia della Rivoluzione, hanno cominciato a sparare sulla folla nella Piazza Azadi (Libertà) al centro della città di Teheran.
Dopo trent'anni dalla rivoluzione teocratica di Khomeini il paese si trova diviso. Da una parte la società civile Iraniana composta per lo più da giovani. D'altra parte una gerarchia clericale degli ayatollah, un'elite altamente privilegiata. Ma la vittoria di Ahmadinejad "con il 63% dei voti" e la repressione delle proteste potrebbe essere l'inizio della "seconda rivoluzione". Ricordiamo che la prima rivoluzione è stata quella dell'eliminazione dello Scià nel 1979.
Nel 30° anniversario della Repubblica islamica, è la prima volta che l'esito delle elezioni costringe i cittadini a scendere in piazza senza paura contro gli intoccabili a difesa della legalità.
L'appuntamento più atteso dagli Iraniani è il prossimo 12 giugno, quando dovranno eleggere un nuovo presidente della Repubblica. I candidati sono quattro, compreso il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad. Ma cerchiamo di conoscere chi sono gli altri tre contendenti.
Il primo è Mir Hussein Moussavi: già primo Ministro nei anni ottanta durante la sanguinosa guerra tra l'Iraq e Iran, viene considerato un riformista e appartiene al gruppo riformista di Khatami, ex presidente della Repubblica. Infatti, Khatami, che inizialmente aveva presentato la propria candidatura, si è ritirato sostenendo proprio Mir Hussein Moussavi. Anche se c'è molta perplessità sul fatto che il personaggio Moussavi possa portare un vero cambiamento sia sul fronte interno sia sul fronte internazionale, in quanto è un membro della vecchia guardia del regime. I
l secondo candidato è Mehdi Karoubi, ex presidente del Parlamento, nato 72 anni fa nella antica regione di Loristan. Durante i suoi studi religiosi presso la Facoltà di Teologia della Università di Teheran ha conosciuto l'Ayatollah Khomeini diventando uno dei suoi sostenitori nella rivoluzione Islamica 1979. Anche Karoubi viene considerato un riformatore pragmatico, spesso ha criticato il Consiglio Guardiani, organo supremo composto da 12 membri nominati per sei anni la cui funzione principale è quella di assicurare la compatibilità delle leggi con la Costituzione e con l'Islam.
Il terzo candidato è Mohsen Rezai, conservatore, già capo delle guardie della rivoluzione, i Pasdaran, per più di dieci anni. La candidatura di quest'ultimo viene invece considerata da tanti come una manovra di pura facciata. Dopo il confronto televisivo tra Ahmadinejad e Mir-Hossein Mousavi, uno dei due candidati riformisti alla presidenza dell'Iran - trasmesso dei due canali televisivi satellitari Iraniani IRIB e Shar - si è avuta la netta impressione che Ahmadinejad abbia vinto con netto vantaggio questo primo match.
Purtroppo Mousavi non è stato molto deciso nel contestare la politica estera di Ahmadinejad, che ha di fatto isolato l'Iran dalla Comunità Internazionale non solo sulla questione nucleare, ma anche sui diritti umani e la liberta di stampa. Mousavi non è riuscito ad incalzare Ahmadinejad sui diritti delle minoranze - come otto milioni di Curdi, quattro milioni di arabi in khuzestan - o sui diritti delle donne.
Come si dice, non si muove foglia che "Ayatollah Ali Khamenei " non voglia!!! L'Ayatollah Khamenei, largamente considerato il simbolo della classe dirigente conservatrice del Paese, è un sostenitore di Ahmadinejad e per questo motivo nè Mousavi nè Karrubi potranno portare l'Iran fuori da questa situazione.
Papi. No, non è, come qualcuno potrebbe pensare, visto l'ambito politico, la sigla evoluzione del più noto Pati (Piano di Assetto del Territorio Intercomunale) ma semplicemente il “nomignolo” con il quale una sconosciuta neo-maggiorenne, la signorina Noemi Letizia di Napoli, chiama, affettuosamente, il Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi.
Ebbene, ad oggi, questo è quanto di “programmatico” il dibattito politico in Italia ha saputo partorire in vista delle prossime elezioni europee. Il tutto unito ai contenuti della lettera con la quale la consorte del premier, Sig.ra Veronica Lario, denunciava l'inserimento (cosa poi non avvenuta) di “veline” e “starlette” nelle liste del PDL, definite, quest'ultime, senza mezzi termini, “ciarpame senza pudore”.
E' pur vero che le elezioni per il Parlamento Europeo sono elezioni depotenziate perché sono le uniche nelle quali non è in gioco il controllo del governo e perché non c'è il “voto utile”. Coerenza richiederebbe però a persone che mettono in “saccoccia”, tra indennità, diarie e rimborsi vari, circa 30/35 mila euro al mese, che si impegnassero, in campagna elettorale, ad annunciare al popolo quali sono i contenuti programmatici e politici con i quali si apprestano a chiedere il consenso agli italiani. Macché.
Fino ad oggi non ho letto, né sentito un intervento di un politico italiano su temi che sono rilevanti per il nostro futuro e soprattutto per quello delle generazioni più giovani. Abbiamo solo poche settimane per discutere delle strategie con le quali arrivare alla creazione degli Stati Uniti d'Europa, per discutere delle disfunzioni di quello che è il quadro istituzionale generale e dei difficili rapporti tra Stati ed Unione, per discutere della debolezza della politica Ue, delle prospettive grigie di Eurolandia, delle schizzofreniche strategie Ue in materia di immigrazione e sicurezza, della mai partorita Costituzione Europea, del ruolo dell'Italia e dei cambiamenti in corso nell'economia mondiale. Niente di tutto questo. Ciò che ora va in onda è solo la soap-opera “Brinda con Papi”. Nemmeno l'autorevole quotidiano “Times” rimane esente dal contagio da “buco della serratura”: è costretto a chiedere pubblicamente scusa alla madre di Noemi per avere mal tradotto un suo auspicio sulla prossima carriera della figlia.
Ho sempre ritenuto corretto distinguere il pubblico dal privato. Attaccare l'avversario politico sul piano personale con l'obbiettivo di distruggerlo, denota solo povertà intellettuale ed incapacità nel saper argomentare una qualsiasi critica politica al suo agire. Questo, per me, vale sia nei confronti di Berlusconi come di qualsiasi altro leader politico del centrodestra o del centrosinistra. E’ sul piano del confronto delle idee che si ottiene il consenso, non come logica conseguenza della distruzione dell'immagine dell'avversario, toccato negli affetti e nei legami parentali.
Questa oggi è l'immagine della classe politica che, a breve, consegneremo all'Europa. Una classe politica campione di trasformismo, capace cioè di far parte del comitato che promuove il referendum e che poi, a pochi giorni dalla consultazione, invita gli italiani a votare contro. Una classe politica che si dimostra impreparata a saper prevenire l'attacco portato ad un sindacalista, Rinaldini, spinto giù dal palco del comizio. Una classe politica incapace di accorgersi che, oggi, lo stipendio medio di un italiano, secondo l'Ocse, si colloca solo al 23° posto tra i paesi sviluppati: dopo di noi, in Europa, solo Ungheria e Turchia.
Ma perché preoccuparsi tanto? Ma sì, godiamoci lo spettacolo del “Grande Fratello” in politica!
Continua senza sosta e incessantemente l’azione dei comitati “No Dal Molin” contro l’allargamento della base USA a Vicenza. Dopo gli ultimi sit-in davanti alla base, fa notizia l’acquisto del terreno situato ai confini dell’area su cui sorge.
Con l’iniziativa “Mettiamo radici al Dal Molin”, le adesioni sono piovute a raffica, anche tramite delega. Alla presenza di un notaio, il terreno, valutato 25 mila euro, è stato diviso tra 430 nuovi proprietari che hanno acquistato 544 quote a 100 euro ognuna. L’area, di qualche migliaio di metri quadri, è disposta sul lato nord a fianco di una delle uscite.
Gli attivisti sono riusciti a raccogliere l’intera cifra, compreso il 18% per il pagamento delle imposte di registro e l’atto notarile. Ora il terreno è diventato il loro presidio. Riusciranno in questo modo a contrastare l’esproprio per la realizzazione dell’entrata della base?
La telenovela continua!
Dopo la buona notizia derivante dal recente recupero di circa 400 milioni di euro operato, dalla Regione Veneto, con l'accordo raggiunto in sede di conferenza delle Regioni e delle Province autonome sul ripartimento del fondo sanitario nazionale, ne arriva un’altra che invece offusca un po’ quella virtuosità di cui, da sempre, si fregia il Veneto e che riguarda la “Carta dei Servizi Asl”. Del caso si è occupato anche il movimento consumatori nell'ambito del progetto "SOS salute".
Si tratta di un documento esposto negli uffici “Relazioni con il Pubblico” e che contiene una sorta di patto tra gli enti che erogano servizi di pubblica utilità ed i cittadini. Questa “Carta dei Servizi” permette di conoscere l'organizzazione dell'azienda ospedaliera, le prestazioni offerte, le forme di assistenza, i reclami.
Le Asl purtroppo però, sull’argomento, non sono molto efficienti: 7 su 23 sono dotate di una versione cartacea, 6 hanno solo opuscoli informativi, 13 l'hanno inserita sul sito internet, 15 solo materiale informativo online. Soltanto Rovigo e Belluno hanno superato l'esame mentre Venezia è risultata la peggiore: possiede una carta dei servizi vecchia del 1989 nemmeno aggiornata in internet.
Anche altre realtà come Treviso, Vicenza, Bassano Del Grappa e Padova non possiedono una “Carta” stampata che tutti possano consultare, specie gli anziani. Perché non investire i fondi che eccedono nella cassa regionale della sanità per fornire la “Carta dei Servizi” a tutte le Asl aggiornandole e rendendo così più facile la vita a tutti gli utenti?
Intanto si pensa all’apertura, in Veneto, di un polo specializzato in malattie rare grazie ad un'intesa europea tra Veneto, Friuli, Carinzia e Slovenia. I cittadini partner potranno curarsi con oneri a carico della UE senza costi aggiuntivi. Viene messo in pratica il trattato di Schengen che permette ai pazienti di usufruire delle strutture ospedaliere comunitarie.
295. Tanti sono i morti provocati dal terribile sisma che ha devastato l’Abruzzo e che si aggiungono agli oltre 1.600 feriti. Ma quanti di questi morti sono riconducibili alla forza della natura piuttosto che, invece, alla mala gestione di una classe politica che ormai, da tempo, dimostra tutti i suoi limiti etici e morali?
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano così si esprime sul terremoto d’Abruzzo: a rendere così tragico il bilancio, in termini di vite umane "hanno contribuito anche comportamenti come lo sprezzo delle regole e il disprezzo dell'interesse generale e dell'interesse dei cittadini". E’ sconvolgente lo scoprire come lo stato italiano, dal ’45 al ’90, causa l’inefficiente prevenzione, abbia speso oltre 75 miliardi di euro – circa 140 milioni di euro al giorno – il costo di 12 ponti sullo stretto di Messina, solo per tamponare i danni. Ha ragione il Presidente: non ci sono scuse!
Non era ancora trascorso un anno da quando l’Abruzzo veniva politicamente e moralmente sconvolto dalla scandalo che aveva decapitato la giunta regionale accusata di associazione per delinquere, corruzione e concussione per gestione privata nella sanità - queste le accuse che avevano portato la Guardia di Finanza ad arrestare il presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, unitamente ad altri – che ora un’altra grave ferita colpisce la dignità dei suoi abitanti. Un anno, questo, per l’Abruzzo da dimenticare.
Solo 21 anni dopo il terremoto in Irpinia, 9 dopo l'alluvione in Valtellina, 3 dopo la frana di Sarno, nel 2001, si disponeva l’emanazione di specifiche norme tecniche relative alle costruzioni in zone sismiche che arrivarono solo nel 2003 e la cui applicazione fu rinviata più volte fino al 2005, quando furono approvate le Ntc “Norme tecniche per le costruzioni” la cui entrata in vigore è stata, di anno in anno, puntualmente prorogata. L’ultimo rinvio risale al 27 febbraio scorso (!), col solito decreto «milleproroghe» (nome quanto mai azzeccato), lo stesso usato da Prodi nel 2007, con il quale si posticipava l'entrata in vigore delle Ntc dal 30.6.09 al 30.6.10. Siamo il Paese del “tanto fumo (negli occhi del cittadino) e poco arrosto”, degli annunci, sotto la spinta emotiva del popolo, e delle successive proroghe, sotto la spinta delle lobby di potere. Nel frattempo non si contano più le vittime innocenti, soprattutto i bambini, e a San Giuliano di Puglia, il 31.10.02 crollava la scuola elementare uccidendo 27 scolari ed una maestra. “Dulcis in fundo”: anche la prima versione del recente “Piano casa”, proposto dal governo, allentava le vigenti normative antisismiche.
Sconvolge il livello di immoralità che ha raggiunto oggi la nostra società: si passa dall’utilizzare la più economica sabbia del mare per tagliare il materiale edile – corrodendo così i tondini di ferro e provocando il crollo di interi palazzi– al vantarsi, sul Tg1, nell’edizione del 7.4.09, degli ottimi dati auditel raggiunti con la diretta dai luoghi della tragedia, dal costruire, in 37 anni, l’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila che costerà 9 volte più del necessario ed il cui cemento oggi si è sgretolato come la creta, alla recente “Casa dello Studente”, trasformatasi in pietra tombale per 8 ragazzi e nei cui pilastri mancava la “staffatura”, dalla denuncia per procurato allarme inflitta al ricercatore Giampaolo Giuliani reo di aver urlato ai quattro venti la sua convinzione, alla variazione attuata dalla Regione Abruzzo, nel 1983, quando abbassò il rating sismico dell’Aquila – da rosso ad arancione - che tale è rimasto fino ad oggi.
Un terribile dubbio allora a questo punto mi assale: ma, visti gli esempi ed assodato che il nostro è un Paese ad altro rischio sismico e provato che la nostra classe politica non è in grado di tutelare a fondo la vita dei suoi concittadini anche di fronte a queste catastrofi naturali, chi ci garantirà, in un prossimo futuro, la sicurezza di fronte ai possibili pericoli correlati alla recente svolta al nucleare? Solo ai nostri figli è delegata la risposta...
Non si placa la rabbia delle famiglie che hanno perso i loro cari nella fabbrica del terrore e di chi è ancora vivo è ammalato di tumore. Si parla dell’inchiesta sulla morte dei lavoratori della “Tricom/Galvanica PM” di Tezze sul Brenta in provincia di Vicenza. La fabbrica, ormai dal 2003 non più operante, ha provocato forse uno dei più grandi danni ambientali nel territorio del bassanese e dell’alta padovana.
Il problema principale nasce dall’utilizzo, in detta azienda, del cromo esavalente, del nichel e di altre sostanze tossiche i cui fumi si miscelavano tra di loro. Ora si potrebbe dire che in una ditta di cromature questo è normale. Certo, ma solo se fossero stati rispettati i sistemi di sicurezza e fosse stata tutelata la salute degli operai! Non è accaduto nulla di tutto questo anzi, a dimostrazione del perfetto contrario di quello che è una fabbrica rispettosa delle misure di sicurezza, si produsse un video, all’interno della ditta, mentre gli operai svolgevano il loro lavoro con tutti i pulsanti per gli aspiratori spenti non per volontà degli operai ma semplicemente perché non funzionanti.
Lì si respirava un “cocktail mortale” appunto. Sono morti in dieci. E degli altri malati, con conseguenze anche sui figli, cosa sarà? Aperta l’inchiesta, fatti i dovuti controlli da parte dei tecnici dell’Arpav, della Guardia Forestale dello Stato e dei medici legali, si è concluso che ci sono tutti i presupposti per il rinvio a giudizio di chi si è macchiato di questo crimine silenzioso. Il Tribunale di Bassano del Grappa, titolare dell’inchiesta, per la seconda volta ha chiesto l’archiviazione del caso. L’unica condanna che si è avuta in questo processo è stata quella di Paolo Zampierin, in rappresentanza della Tricom Pm, a due anni e sei mesi inflitta dal Tribunale di Cittadella. Inoltre la cosa sconvolgente è come gli scarichi tossici siano potuti finire nelle falde acquifere che servono il territorio inquinando l’acqua potabile. Insomma, si beve acqua al veleno? Un dramma nel dramma.
Il “Comitato di difesa del diritto alla salute nei luoghi di lavoro e della popolazione di Tezze e Bassano”, si è subito mobilitato per dire “no” all’archiviazione del caso ed avere giustizia. Il posto di lavoro è un diritto per tutti e il lavoratore una risorsa immensa che deve essere tutelata. L’essere umano non è uno schiavo o un rottame che, quando non funziona più, si butta via! In questo caso le responsabilità non sono solo del datore di lavoro ma anche di chi è chiamato ad applicare la legge ed a farla rispettare. Cosa c’è dietro questa nuova richiesta di archiviazione? Quale arcano mistero c’è da proteggere? Forse è meglio tacere perché lo scandalo è troppo grosso e perché troppi sono i morti causati da questa gravissima negligenza?
E’ nata a Padova la prima agenzia di ricollocamento per i manager. Grazie a Unimpiego-Confindustria e Federmanager che hanno raccolto i dati dei manager immettendoli in una banca dati nazionale, favorendo così l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Lo stesso amministratore delegato di Unimpiego, Riccardo Rosi, sostiene che mentre per un operaio è relativamente più breve il tempo di attesa per un nuovo lavoro, per il dirigente è più difficile, specie poi quando supera i quarant’anni. Inoltre il responsabile del progetto di Federmanager Padova, Mario Baroni, sostiene che il manager deve essere aiutato anche grazie alla formazione.
I risultati in Veneto per questa iniziativa sono stati più che positivi: a oggi sono stati ricollocati quattordici manager su venti, in tutta Italia. E’ tutto molto lodevole, in un periodo di gravissima crisi come questo che stiamo attraversando, però non si capisce perché per gli operai che perdono il lavoro non ci siano tutti questi aiuti e non ci sia nessuno che realmente abbia interesse a ricollocarli altrove.
Come si fa ad affermare che per un operaio è più facile trovare altro e in meno tempo? Ci hanno mai provato? Per non parlare poi dell’età: l’operaio a quarant'anni è finito, nessuno lo prende a lavorare, ora cercano i ragazzini con l’apprendistato, i giovani al massimo trentenni. Gli operai pagano con la propria pelle i “no” ricevuti per un lavoro e gli esigui stipendi con cui vivono. Non si vuole colpevolizzare nessuno ma, soprattutto oggi, con la crisi in corso è assai importante avere una maggiore attenzione per tutta la forza lavoro.
Non so se siamo ancora capaci di indignarci, talmente siamo assuefatti alla falsità della stampa e della televisione in mano a giornalisti prezzolati (Grillo è incomparabile nel suo blog quando parla di “tentazione di lasciarsi andare un po’ da questa deriva da fogna, leggere che so, il Giornale , Libero o il Foglio, lasciarmi galleggiare in questa m.... informatica, così che potrei anche rilassarmi”), ma la nausea ed un senso di vomito mi viene ancora quando leggo qualche inchiesta di Gianantonio Stella: l’ultima, frutto del lavoro di Flavien Deltort e pubblicata nel Corriere della Sera del 22 aprile, che parla dei nostri Deputati europei, i più pagati ed i più assenteisti.
Neanche il radicale Marco Cappato, pur essendo parlamentare europeo era riuscito ad avere dati sulle presenze dei suoi colleghi parlamentari perché , gli era stato risposto “non esiste nessun alcun documento che riporti il numero totale delle presenze per deputato alle diverse riunioni ufficiali”. La richiesta era stata addirittura respinta dal segretario generale Harald Romer che gli spiegò, come da deputato potesse chiedere solo i suoi. Cappato ha dovuto formalizzare la richiesta in una risoluzione presentata all’Europarlamento che finalmente l’ha approvata a larga maggioranza (355 si, 18 astenuti e 195 contrari, tra i quali tutti i deputati del PDL).La risoluzione, che comunque non avrà seguito, in quanto la legislatura si sta avviando alla sua conclusione, prevedeva la possibilità di avere la disponibilità di informazioni sulle presenze dei parlamentari, con pubblicazione ed accesso al sito web del Parlamento Europeo.
Ma che cosa dicono i documenti ufficiali che, cocciutamente, Delort ha raccolto uno dopo l’altro in questo mare di difficoltà? Dicono esattamente quello che c’era da aspettarsi sui nostri euro deputati, i più pagati , i più assenteisti ed i più fannulloni: fra i primi 100 eurodeputati più presenti a Strasburgo gli italiani sono solo 3, meno di 1/3 dei tedeschi ed inglesi, 1/5 dei polacchi, ma svettano fra gli assenteisti classificandone 10 fra i primi 20.
“Com’è possibile” , si chiede Gianantonio Stella,” che pur avendo l’Italia un decimo dei seggi europei ci ritroviamo con soli sei rappresentanti nella classifica dei 250 più presenti nelle varie commissioni?” “Com’è possibile che abbiamo solo dieci parlamentari fra i primo cento più assidui, quando 17 sono gli spagnoli, 25 gli inglesi e ben 39 i tedeschi?.” Dominiamo invece nelle posizioni di coda, ben 9 fra gli ultimi 21 e ben 37 (metà dei nostri europarlamentari) oltre la 800 esima posizione (sul totale di 921). Oltre il 900° posto troviamo Gianni De Michelis, Cirino Pomicino, Raffaelle lombardo, Alessandra Mussolini ed Umberto Bossi.
L’altra notizia,che fa venire una bile così ,riguarda le indennità dei parlamentari europei. Com’è risaputo, i nostri europarlamentari non sono solo assenteisti e fannulloni, sono anche i più strapagati all’interno del Parlamento Europeo, godono di alte, altissime indennità , che, fortunatamente, dalla prossima legislatura verranno erogate non più dai singoli Stati membri, ma , finalmente, dal Parlamento europeo che ha già fissato un’unica indennità, uguale per tutti i parlamentari, di 7.000 €, in genere, più elevata rispetto a quella finora riconosciuta a tutti i parlamentari, ma decisamente più ridotta per i nostri europarlamentari.
Ebbene sembra proprio - se ne parlava ieri sera su “Exit”- che sia pronta una leggina per riconoscere un’integrazione ai nostri parlamentari per “adeguarli” alle indennità alle indennità percepite dai membri del Parlamento Italiano. Il Paese è in crescita zero, l’economia italiana è quella che più arranca e la più debole nell’area UE, c’è stato il terremoto in Abruzzo che impegnerà risorse fino a raschiare il fondo del nostro disastrato bilancio, però i soldi per i nostri già strapagati parlamentari devono, comunque, saltare fuori.
La questione curda, per quanto ben caratterizzata e definita, non risulta del tutto comprensibile se astratta dal contesto nel quale si è sviluppata: quello della storia del Medioriente. Un legame che si è rinsaldato nello scorrere degli avvenimenti del secolo scorso: l'evoluzione dal sistema coloniale all'imperialismo moderno, la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, le guerre mondiali, i conflitti locali e la «guerra fredda». Queste sono solo alcune delle problematiche che fanno sì che la questione curda si possa considerare assai vicina alle vicende della storia europea.
Negli ultimi 20 anni i partiti curdi hanno indirizzato i loro sforzi di lotta, sia armata sia politica, non più, soltanto, contro le potenze, contro i singoli regimi repressivi dell'Iran, della Turchia, della Siria e prima dell’Iraq. La lotta per l’indipendenza ha assunto i connotati propri delle lotte di liberazione in corso anche in altri paesi nel mondo, da parte delle minoranze oppresse. Ma questa affermazione è solo in apparenza semplice: in realtà spesso, per i curdi, è addirittura difficile individuare il proprio vero nemico, e questo dipende da numerosi fattori: ad esempio, il più delle volte, paesi lontani dal Curdistan, ma presenti sulla scena internazionale, formalmente approvano e sostenevano l'indipendenza dei curdi, ma in sostanza appoggiavano la politica repressiva dei singoli governi, spesso con aiuti economici ai vari regimi, nascondendo così le consuete dinamiche dell'imperialismo dietro un intervento indiretto ma ugualmente efficace.
II Curdistan esiste da almeno quattromila anni, abitato da una popolazione di stirpe indoeuropea, di religione originariamente zoroastriana convertitasi all'islam dopo la conquista araba; il popolo curdo ha vissuto fino al secolo scorso perfettamente integrato con le altre culture del Medio oriente. Alla fine della Prima guerra mondiale questo territorio è stato arbitrariamente suddiviso dalle potenze europee vincitrici che perseguivano i propri interessi coloniali nella regione: da allora la situazione è rimasta invariata e il popolo curdo combatte per riavere il diritto a vivere libero e in pace sulla propria terra.
Cerchiamo di chiarire ai lettori italiani, cosa vogliono i curdi. Il popolo curdo chiede che la minoranza curda venga riconosciuta dai governi negli stati nei quali risiede, chiede di potere fare uso della propria lingua, della propria tradizione, dalla propria scuola, ma soprattutto vuole la democratizzazione dei paesi che controllano il Kurdstar. Proprio questo è stato il punto che ha sempre determinato la brutale repressione da parte dei singoli governi che occupano il kurdistan nei confronti del popolo curdo.
La prima guerra del Golfo, nel 1991, aveva portato alla ribalta delle cronache le persecuzioni di cui sono stati, e sono tuttora oggetto, i curdi. È emerso palesemente l'aspetto tragico e terribile della loro esperienza, ma quello che ancora una volta era ed è sfuggito, e che continua a rimanere tuttora ai margini dell'informazione, è l'analisi attenta della loro storia e della loro cultura.
Sono una delle più importanti ed antiche civiltà dell'Oriente, eppure questa verità elementare e fondamentale resta spesso nell'ombra. Una "dimenticanza" dovuta, con tutta probabilità, almeno nel campo dei media, ad una "colta" ignoranza. Certo che il popolo curdo non può vantare gli uomini più ricchi del pianeta. Genericamente è indicata come una minoranza oppressa. Un luogo comune, come tanti altri, per spiegare lo smembramento del popolo curdo. È in questi luoghi comuni che si affossano ogni giorno le speranze di migliaia di uomini.
Spesso il sogno di vivere in un kurdistan libero e indipendente è finito sulle coste pugliesi e calabresi in Italia o in altri paesi europei, per i curdi in fuga dalla persecuzione provocata dei governi dell’Iran, della Turchia, della Siria e dell’Iraq prima dalla caduta del regime dittatoriale di Saddam.
La formazione di una diaspora curda in Europa è un fenomeno recente. Nel 1960, i curdi provenienti dalla Turchia hanno iniziato ad arrivare in Germania, Austria, Svizzera e Francia, come lavoratori immigrati nel quadro di contratti governativi e accordi in materia di lavoro degli immigrati. Ma dopo la rivoluzione islamica, in Iran, del 1979, il colpo di Stato in Turchia del 1980, il massacro perpetrato dal regime iracheno con l’operazione Anfal e la campagna, lanciata nel 1992, di evacuazione forzata e distruzione di villaggi curdi accoppiata con una politica di assassinio politico di élite da "squadroni della morte" e forze paramilitari, è aumentato l’esodo dei curdi verso l'Europa. Il gruppo più consistente (circa 650 mila) si trova in Germania, ma altre numerose comunità si trovano nei paesi dell’Unione Europea. In Italia si trovano circa due milla curdi, sparsi nel centro e nel nord Italia, per lo più con regolare permesso di lavoro.
Una domanda nasce spontana: fino a quando questo popolo deve subire questa ingiustizia?
Ora, il compito è quello di cercare gli strumenti idonei ad affrontare una situazione ormai insostenibile, dal punto di vista morale, per i paesi civili che vogliono farsi sostenitori dei diritti umani e dei popoli
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